Testimonianza
VolontariACTION!
Una casa in cui poter essere sé stessi senza paura
Testimonianza di Giugno 2020
“Protetti”: è questa la parola con cui la nostra volontaria di servizio civile Silvia ha scelto di descrivere gli ospiti del Centro di Mahotas delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore.
La struttura, che sorge in un quartiere periferico di Maputo (Mozambico), si occupa di bambini, ragazzi e adulti con varie forme di disabilità mentale e fisica, dalle più lievi alle più gravi. Lavorare e aiutare in questo settore in Mozambico è una vera sfida: «Le persone vedono la malattia mentale come un incantesimo, per cui le famiglie decidono di rivolgersi ai guaritori e ai medici tradizionali, soprattutto nelle aree rurali o suburbane» ci racconta Suor Encarnação che da molti anni lavora nel Centro assieme ad altre quattro Sorelle. Lo stigma legato a questo tipo di malattia è molto forte e il paziente è lasciato al suo destino per mancanza di mezzi in famiglia e di sostegno dalle istituzioni statali. Anche i bambini sono vittime di questo disinteresse: il padre spesso non accetta di avere un figlio malato e tutto il peso dell’assistenza ricade sulle madri.
Questi pregiudizi creano emarginati, disagiati sociali e reietti, che non riescono a trovare il loro posto nella società e che nessuno vuole. Ma questo non succede all’interno del Centro di Mahotas: tutti quelli che entrano si svestono degli aggettivi che la società gli ha affibbiato e si rivestono della dignità di persona. Di essere umano. Durante il giorno, tutti sono chiamati a fare qualcosa, tutti possono parlare, tutti possono esprimersi, tutti possono imparare e insegnare secondo le proprie abilità e attitudini. Nessuno rimane indietro.
Dora, che è stata educatrice all’interno del Centro l’anno scorso, ha toccato con mano le difficoltà quotidiane: «Non è facile parlare di salute mentale, perché già uscendo dal cancello della struttura si incontra un mondo complicato, dove a un ragazzo con sindrome di Down viene permesso con difficoltà di salire su un autobus. Non è per cattiveria, ho sentito sulla mia pelle l’accoglienza e la generosità del popolo mozambicano, ma per mancanza di informazioni su quello che rimane un tabù molto forte».
Silvia, invece, ha fatto teatroterapia con i pazienti del Centro: «Io credo che in un contesto come quello africano, dove molti materiali scarseggiano e dove l’impostazione educativa è molto rigida, sia in famiglia che nelle scuole, lavorare con il corpo sia importantissimo. Nel corpo risiedono le nostre prime sensazioni, i nostri primi traumi, il corpo è il mezzo che mette in comunicazione il nostro mondo interiore con l’esterno. Partendo da questo, si può raggiungere una consapevolezza molto profonda di ciò che siamo e di ciò che vogliamo essere, e questo è l’unico modo per stare in pace prima con noi stessi e di conseguenza con gli altri, per creare una società più giusta». Questa attività è ancora più importante per loro che vengono discriminati spesso per il loro corpo: il sogno di Silvia di un mondo in cui nessuno viene lasciato indietro è lo stesso di AGAPE e, per quanto sembri difficile, il Centro di Mahotas ci dimostra che i miracoli possono accadere, e che ogni persona che si impegna, anche solo con un gesto gentile o un sorriso, può fare la differenza.
«Dai per scontato che andando in un paese ”in via di sviluppo” sia tu quella che va a insegnare, quando, in realtà, sei tu quella che impara che con molte meno risorse e tanta dedizione si possono fare cose meravigliose».
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